CCSL Stellantis, uno strumento per il disimpegno dall’Italia. USB: rovesciare il tavolo
Fim, Cisl, Fismic e Ugl portano avanti la trattativa di rinnovo contrattuale su una base di piattaforma approvata solo dalle loro RSA e non dai lavoratori che da un decennio ne subiscono gli effetti devastanti dal punto di vista salariale, occupazionale, dei diritti e delle condizioni di lavoro.
Dopo i primi incontri è iniziata la campagna di elogio per la convergenza di intenti con l’azienda su temi come la sicurezza nei luoghi di lavoro, che in realtà non sono altro che fumo negli occhi per offuscare il tema della flessibilità oraria a cui Stellantis punta fortemente per ammortizzare le perdite produttive, come se dipendessero dai lavoratori e non dalla gestione organizzativa dei vari stabilimenti.
La conferma dei recuperi produttivi a regime di retribuzione ordinaria dimostra che si continua a perseguire una gestione della produzione che tende a sfruttare al massimo la capacità di utilizzo delle persone invece di fare investimenti, che sarebbero onerosi per Stellantis, per aumentare la produttività. Il tutto lascia presagire che per il prossimo futuro nulla cambierà e forse l’unico elemento di novità sarà tirare dentro il CCSL, ufficialmente, anche la FIOM il cui silenzio è più che esaustivo.
Si parla di miglioramenti in materia di sicurezza eppure in alcuni stabilimenti non si eleggono democraticamente RLS da un decennio. Le varie commissioni fantasma, istituite con il CCSL, sono state un fallimento totale, utili solo ai vari stabilimenti per aumentare ritmi e carichi di lavoro scaricandone gli effetti sulla salute dei lavoratori.
I lievi miglioramenti su alcuni temi marginali non possono nascondere il problema cruciale ovvero il percorso di disimpegno verso gli stabilimenti italiani che Stellantis sta mettendo in campo sin dalla cessione di FCA a PSA: in questi anni si sono persi migliaia di posti di lavoro, investimenti nulli e quelli futuri non pervenuti, eccezion fatta per la tanto pubblicizzata Gigafactory di Termoli che ricollocherà solo parte dei lavoratori oggi in forza allo stabilimento molisano.
Altro campanello di allarme è la fine della joint venture SEVEL di Atessa che verrà assorbita in FCA Italy e che a nostro avviso lascia mani libere a Stellantis sulla produzione dei veicoli commerciali che ad oggi vedevano lo stabilimento dei record unico attore protagonista nel settore e che nel futuro subirà sempre più la concorrenza, tutta interna al gruppo, dello stabilimento polacco che ha avviato la produzione grazie a forti incentivi economici di fondi europei ed investimenti aziendali. Negli altri stabilimenti da tempo è in atto il forte ridimensionamento confermato dalla mancata sostituzione di modelli prodotti nel passato (es. la Punto a Melfi).
Le nostre preoccupazioni al momento della vendita di FCA si stanno materializzando e trovano riscontro nelle parole del ministro Urso a margine del tavolo sull’automotive, convocato nei giorni scorsi e a cui non sono stati invitati i sindacati, in cui ha parlato senza troppi giri di parole di un futuro del settore in cui bisogna creare le condizioni per attrarre nuovi produttori in Italia cercando di conservare i rapporti con Stellantis. Tradotto, per noi significa alzare bandiera bianca nei confronti di un’azienda che ha ricevuto nei decenni finanziamenti pubblici a volontà e che oggi sembra dire “chi ha avuto ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato ha dato, scurdámmoce 'o passato…”.
Le prossime riunioni del tavolo rinnovo CCSL programmate per metà dicembre affronteranno i temi sull’orario di lavoro e aumenti contrattuali che, già sappiamo vedranno soccombere i lavoratori: da una parte la richiesta di incrementi salariali - del tutto insufficiente - che per il 2023 prevede un aumento dell’8,4%, per poi scendere al 4,5% per il 2024 e a 2,5% per il 2025, cifre che non recuperano né l’inflazione reale e né il potere di acquisto dei salari che sono crollati negli ultimi 20 anni e che nel solo 2022 hanno subito una perdita consistente dovuta ad un’inflazione ufficiale al 11,8%; dall’altra le richieste che andrà a mettere sul piatto Stellantis quale contropartita per dare il benestare ad una parte di aumenti richiesti, magari concedendoli in parte con il sistema del welfare aziendale che non produce paga oraria, previdenza e tredicesima, rafforzando i peggiori elementi normativi del CCSL quali l’Ergo UAS che impone carichi, ritmi di lavoro pesanti e disumani, e un sistema di monopolio sindacale funzionale al regime aziendale.
L’USB da sempre osteggia il CCSL che si è dimostrato dannoso per i lavoratori sotto ogni punto di vista e lo osteggia ancor più oggi che si sta trasformando in un elemento che permette a Stellantis un progressivo disimpegno in Italia.
Il tavolo non va solo fermato ma rovesciato, la piattaforma di rinnovo non va rivista ma strappata, riformulata con la condivisione dei lavoratori e con criteri opposti a quelli che sono i cardini del CCSL.
Se vogliamo salvare le produzioni automotive in Italia non sono più rinviabili alcuni provvedimenti da mettere in campo:
Ø Ritorno ai due livelli di contrattazione nazionale e aziendale.
Ø Una tantum di 2000 € che compensi la perdita di salario per il biennio trascorso.
Ø Aumento di almeno il 10 % annuo in paga base - Nessuna assorbibilità degli aumenti.
Ø Meccanismo di adeguamento mensile all’inflazione reale.
Ø Rimessa in discussione del sistema Ergo UAS.
Ø Riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario -Basta CIG ammazza salari e bancomat delle aziende.
Ø Riconoscimento della pluralità sindacale e ratifica degli accordi da parte dei lavoratori.
L’USB chiederà al ministro Urso di convocare un tavolo del settore automotive per trovare risposte che salvino il settore da un declino che porterà alla perdita di migliaia e migliaia di posti di lavoro.