Jabil, non è ancora finita. I lavoratori e le lavoratrici passano massicciamente a USB.
La vertenza deve parlare al paese. Perché se passano a Marcianise passano dappertutto.
La vertenza che coinvolge da più di un ventennio lo stabilimento di Marcianise, oggi Jabil, è una lunga strada lastricata di cocenti delusioni: prima con le acquisizioni, poi con soluzioni mai realizzate di cui la causa è una schiera di imprenditori-prenditori che hanno tradito prima i lavoratori e poi le istituzioni da cui hanno ricevuto il sostegno.
Questo continuo tradimento delle aspettative di chi subisce nuovamente oggi le decisioni della multinazionale statunitense, hanno reso impraticabile qualsiasi ipotesi di soluzione che non offra la certezza di un posto di lavoro garantito istituzionalmente. Lavoratrici e lavoratori devono essere messi nella condizione di fidarsi, con una proposta industriale formulata in via prioritaria dallo stato o
eventualmente da un grande player con vocazione industriale con una forte presenza pubblica a garanzia di lavoro e occupazione.
Serve anche uno sforzo per realizzare un contenitore normativo efficace, di salvaguardia totale dell’occupazione. Risposte necessarie per chi ha già visto (e anche per chi ha già subito) l’indecoroso passato che porta il nome di Orefice e Softlab.
Gli strumenti per dare queste garanzie esistono, su questo serve anche un sollecito intervento della Regione Campania, che può farsi carico di un percorso che costruisca un perimetro “programmatico” che dia risposte non solo sulla vertenza Jabil, ma anche per Marcianise e per tutto il casertano. La regione si assuma la responsabilità di dire che qualsiasi cosa accada, l’occupazione sarà garantita.
Oggi le lavoratrici ed i lavoratori di Jabil hanno deciso di approdare massicciamente in USB. Un fatto che indica la volontà di dire: “No, non è affatto finita. Non ancora”. Il tentativo di Jabil di addossare responsabilità ai lavoratori del fallimento dell’operazione di mitigazione è vuoto e ridicolo, il Governo fa male a seguire questa tesi. E’ Jabil che se ne va dopo aver attinto per decenni denaro pubblico e risorse del territorio, è Jabil che utilizza la delocalizzazione come strumento di ricatto e di paura. E’ Jabil che oggi pensa di poter mettere in strada 413 persone senza credere di dover rispondere al dovere sociale di impresa contenuto nella nostra costituzione.
USB entra ai minuti di recupero, in una vicenda consumata, su cui aleggia un clima di sfiducia e stanchezza. Come spesso accade è difficile entrare al 92mo e fare gol in rovesciata. Ma questa vertenza deve parlare al paese, sottolinerare i rischi di far passare il principio di questa pratica abominevole. Rimettere in discussione anche gli strumenti di legge che permettono oggi di delocalizzare impunente, discutere della deindustrializzazione a cui è sottoposto il paese e soprattutto il sud. Chiedere alla politica di dare risposte a chi lavora e fa fatica ad arrivare a fine mese dopo mesi di cassa integrazione e salvaguardare lavoratrici e lavoratori da un quadro di ristrutturazione che sta producendo solo dismissioni e licenziamenti.
Questo proveremo a fare con trasparenza, senso della realtà, responsabilità e Intenzionati a collaborare con le altre organizzazioni sindacali nel bene delle lavoratrici e dei lavoratori.
Roma, 24 Gennaio 2025
USB Lavoro Privato – Categoria Operaia dell’Industria Nazionale