Per non soccombere in silenzio
356 dipendenti, di cui 320 donne, età media 40 anni, che hanno difeso il posto di lavoro per mesi, presidiando giorno e notte i cancelli della fabbrica,
presente da più di 70 anni sul territorio di Faenza in cui intere generazioni di donne, all’interno della stessa famiglia, hanno lavorato, ci hanno offerto un esempio di lotta, di forza e di determinazione che non dimenticheremo.
Ma niente da fare, si chiude!!!
La proprietà , vale a dire il gruppo Golden Lady della famiglia Grassi, inizialmente aveva addotto la scusa della crisi a motivazione della cessazione dell’attività produttiva, ma in realtà si trattava, si tratta dell’ennesimo caso di delocalizzazione: un’azienda che decide di chiudere uno stabilimento mentre l’altro, a Mantova, fa gli straordinari, un’azienda con il fatturato in attivo, che detiene il primato di penetrazione del proprio prodotto sul mercato mondiale, "semplicemente" si sposta in Serbia, dove può pagare un’operaia 300 euro e le tutele sono quasi inesistenti. Federico Destro, amministratore delegato del gruppo, ha spiegato che sono costretti a risparmiare sul costo della forza lavoro perché si vendono sempre meno calze: i materiali sono troppo resistenti, le calze non si rompono e perciò noi donne ne compriamo di meno. E quindi, incredibilmente, un’azienda che spoglia le donne in pubblicità per vendere un prodotto per le donne, che licenzia dopo anni di sfruttamento a 1000 euro al mese altre donne che quelle calze realizzano, ne accusa ancora altre, le donne consumatrici, perché non smagliando abbastanza calze sarebbero le responsabili della crisi del settore e quindi della chiusura dello stabilimento faentino. Davvero non vi sono commenti possibili, se non che siamo di fronte ad un inammissibile e inconcepibile farsa.