Rinnovo CCSL Stellantis: vince l’azienda, perdono i lavoratori
Udite, udite, è avvenuto un nuovo miracolo in Stellantis: trovato l’accordo per il rinnovo del CCSL tra azienda e le solite OOSS che da sempre propinano tale contratto come un successo. Naturalmente tutto senza chiedere nulla ai lavoratori, che devono lavorare e ringraziare versando una somma di 40€ quale ringraziamento per i servigi ricevuti da chi gentilmente ha pensato, scritto e deciso per conto loro, risparmiandogli la fatica di esprimersi e pure senza dover effettuare un solo minuto di sciopero.
Tutto molto bello se non fosse per la realtà che sancisce la sconfitta dei lavoratori e gli arretramenti dei salari, che da decenni perdono potere di acquisto, a fronte di aumenti di ritmi e carichi lavorativi senza freno:
Per chi lavora sulle catene di montaggio l’aumento è di 110,95 euro lordi/84,70 netti (6,5 %) per il recupero inflazione del 2022 e si omette di dire che l’inflazione dell’anno scorso è stata dell’ 8,1 % (dati ufficiali che nulla hanno a che vedere con l’inflazione reale che è di gran lunga più elevata).
Si vuol far passare come una conquista l’aumento del 4,5 % (81,80 euro lordi/62,98 netti) per il 2024 e si ignora che l’attuale inflazione viaggia ancora oltre il 10% quindi con una perdita costante del doppio della cifra pattuita
Ci si entusiasma per aver concordato 400 € di una tantum che non sono altro che la copertura dei mancati aumenti dei primi mesi del 2023, ma ad essere onesti hanno pattuito anche 200 euro di Flexible Benefit (risorse tolte alla propria pensione e ai servizi pubblici) quindi c’è da sfregarsi le mani.
Tutto in continuità con la politica salariale che ha portato l’Italia ad essere unico paese europeo con calo del 2,9% del potere di acquisto delle retribuzioni negli ultimi 30 anni.
Quanto al resto, bisogna farsi il segno della croce visto che verrà legato il calcolo del sistema premiante ai risultati dei ricavi dei vari gruppi (Stellantis, Cnhi e Iveco) nella zona Europea, che come noto vive una crisi di settore epocale.
La parte normativa, che avrà durata di 4 anni rispetto ai 2 di quella economica, è da giudicare ancor più negativamente per i lavoratori: conferma l’impianto sindacalmente
discriminatorio, apre a maggior flessibilità, conferma il sistema delle commissioni di controllo su sicurezza, carichi di lavoro, ecc., che in più di un decennio sono risultate fallimentari e disastrose per le condizioni di lavoro negli stabilimenti.
Le piccole migliorie sui permessi studio, che passano da 40 a 48 all’anno nascondono un problema che da sempre non viene affrontato ovvero la difficoltà ad accedere alle 150 ore annue retribuite previste per legge, o quelle sui part-time citati in modo molto generico e che nel tempo sono diventati strumento di clientelismi e discriminazioni, nulla aggiungono ad un giudizio che non può essere che negativo ed insoddisfacente per i lavoratori.
L’unica vera conquista (concessione?) è la rivalutazione del 10% delle indennità di funzioni direttive, quasi in linea con l’inflazione, che certo non riguardano chi si logora sulle catene di montaggio.
Nulla è previsto su riduzione di orario di lavoro a parità di salario, argomento con cui qualche alto dirigente sindacale si sciacqua la bocca negli interventi pubblici, che è centrale per conservare occupazione negli stabilimenti italiani già colpiti in questi anni da migliaia di posti persi e cassa integrazione dilagante, mentre è stata già avviata una campagna di incentivazione alle dimissioni volontarie per altre migliaia di lavoratori del gruppo.
L’USB è contraria da sempre a questa modalità di rappresentanza che è dannosa per i lavoratori e per l’intero settore automotive in Italia, perché antidemocratica ed inadatta ad affrontare il passaggio epocale che il settore dovrà affrontare nei prossimi anni.
Roma, 09/03/2023
USB Lavoro privato Settore Industria
USB Lavoro Privato